Economia

Piano strutturale di bilancio, Brancaccio: non comprimere investimenti pubblici ma sostenere la crescita per guardare al futuro del Paese

4/10/2024

Si è svolta oggi l’audizione dell’ANCE presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato in seduta congiunta, nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del Piano strutturale di bilancio di medio termine per gli anni 2025-2029 (PSB). La Presidente Brancaccio ha rilevato, in premessa, che Il Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine per gli anni 2025-2029, costituisce un’innovazione programmatica potenzialmente in grado di garantire un percorso coerente di azione di politica economica, superando la logica del brevissimo periodo e di emergenza che, purtroppo, ha caratterizzato innumerevoli Leggi di Bilancio degli ultimi vent’anni. La lettura del documento, però, non sembra rassicurare sul timore che si apra una stagione di risanamento di bilancio realizzata, come nel passato, tagliando la spesa per investimenti. L’Ance, infatti, non può che esprimere preoccupazione per le possibili conseguenze che l’obiettivo di una progressiva riduzione dell’incidenza della spesa primaria sul PIL possa determinare sulla componente in conto capitale della spesa. Il Piano, nel fare esplicito riferimento al contenimento della spesa primaria corrente e alla minore spesa per i contributi agli investimenti (per effetto del ridimensionamento dei bonus edilizi), non indica strumenti efficaci per contenere le spese correnti, il cui difficile contenimento potrebbe spingere il decisore pubblico ad intervenire sugli investimenti. Non si dimentichi quanto avvenuto in passato, quando il necessario rigore sui conti pubblici ha conseguito l’unico effetto di bloccare l’attività di investimento delle amministrazioni pubbliche, con conseguenze che il Paese ancora sconta per i mancati investimenti nella manutenzione del territorio e delle infrastrutture esistenti. Per questo l’Ance ribadisce la necessità che la prossima manovra di bilancio, la prima del ciclo pluriennale di attuazione del PSB, non comprima gli investimenti pubblici ordinari per garantire l’equilibrio dei conti. In questo modo, inoltre, il PNRR manterrebbe la sua natura aggiuntiva rispettando la funzione originaria di aumento della crescita economica e della resilienza del Paese, attuale e futura. Ci aspettiamo, infatti, che tutte le prossime manovre di finanza pubblica, in coerenza con il PSB, siano finalizzate al sostegno della crescita economica, considerando da un lato l’esigenza di delineare il “dopo PNRR”, per proseguire il percorso di modernizzazione e sviluppo del Paese avviato con il Piano europeo, dall’altro la necessità del rispetto dei nuovi vincoli del Patto di Stabilità e Crescita europeo. Il PSB riconosce, correttamente, l’impatto macroeconomico che il PNRR ha avuto – e avrà – sul PIL. Secondo il rapporto, infatti, nei prossimi anni, gli investimenti del PNRR faranno crescere il PIL di 6 punti percentuali in più nel 2031, per l’effetto combinato di investimenti e riforme. Se questo è vero – e noi riteniamo che lo sia – allora è resa giustizia alla nostra idea, espressa in tanti anni di audizioni, sul ruolo fondamentale sulla crescita economica degli investimenti in infrastrutture. Seppure di fronte a tale evidenza, però, il documento appare timido nel delineare gli impegni programmatici. L’azione riformatrice sembra concentrarsi, principalmente, su: Il settore della giustizia; l’amministrazione fiscale; la gestione responsabile della spesa pubblica; il supporto alle imprese e la promozione della concorrenza; la Pubblica Amministrazione, ivi inclusi i servizi di cura per la prima infanzia. Pur condividendo l’importanza dei temi posti, non appaiono sufficienti ad affrontare le questioni più rilevanti in tema di sostegno alla creazione di ricchezza e di adeguamento del Paese alle istanze provenienti dai cittadini. La Presidente ha quindi individuato alcuni temi che, secondo l’Ance, dovrebbero avere un rango primario tra le scelte strategiche della nazione: LA CASA Anni di disimpegno dello Stato hanno determinato un vuoto per le classi sociali più bisognose, oltre ad innescare un lento e inesorabile processo di degrado del patrimonio residenziale pubblico. Le esperienze di housing sociale di natura privata degli ultimi anni appaiono insufficienti a rispondere alla grande domanda di case in affitto o in vendita a canoni o prezzi sostenibili. La fascia più colpita è quella dei giovani della classe media e bassa, che non possono permettersi di acquistare una casa e sono costretti a pagare affitti molto alti, avendo un accesso limitato o nullo agli alloggi sociali. Una situazione che va ad aggravarsi con lo sviluppo turistico, che in alcune città spinge a destinare numerosi immobili alla ricettività temporanea (640.000 secondo le stime dell’Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi – AIGAB). Secondo l’ultimo Rapporto della BEI, in Italia, il 66% delle famiglie a basso reddito supera la soglia di “sovraccarico dei costi abitativi”, ovvero costi dell’abitazione che superano il 40% del reddito disponibile. Di qui l’urgenza di avviare un Piano nazionale di housing sociale, che ricomprenda una più ampia e articolata offerta abitativa, con alloggi pensati per diverse categorie di utenze, con un forte mix tra proprietà ed affitto, innescando, nel contempo, la riqualificazione di ampie porzioni delle nostre città. Ciò è maggiormente vero nelle grandi città, nelle quali il costo della vita ha creato una crescente disuguaglianza nell’accesso alle abitazioni. L’integrazione delle politiche abitative deve prevedere investimenti in alloggi sociali e forme di locazione flessibile a prezzi calmierati. LA RIGENERAZIONE URBANA Le città possono svolgere un ruolo fondamentale nelle politiche di investimento, interpretando un modello di sviluppo fondato sul riuso e la razionalizzazione delle aree urbanizzate, sulla sostituzione del patrimonio edilizio esistente e sul contenimento del consumo di suolo, sull’adattamento delle città e degli edifici ai rischi legati al cambiamento climatico e sull’attenzione ai temi energetici. Dobbiamo essere in grado di affrontare una trasformazione continua, compresa quella degli stili di vita, del mondo del lavoro e della mobilità: c’è bisogno di una nuova progettualità degli spazi urbani e di una nuova offerta edilizia. Una strategia che, come Ance va affermando da anni, passa necessariamente da una regia nazionale, una governance in grado di dare unitarietà alle strategie e alle politiche urbane anche attraverso la disponibilità di risorse adeguate e stabili nel tempo con la creazione di un Fondo nazionale per la rigenerazione urbana. Questo significherebbe evitare l’eccessiva frammentazione di finanziamenti e azioni che ha sempre caratterizzato questo ambito di intervento. AMBIENTE I cambiamenti climatici e l’aumento della frequenza degli eventi naturali estremi, uniti alla fragilità del territorio italiano, richiedono un’attenzione particolare al tema della prevenzione e messa in sicurezza idrogeologica e sismica del territorio. Vale la pena ricordare come la spesa per contrastare i fenomeni di dissesto idro-geologico sia triplicata negli ultimi 15 anni: se prima del 2009 i danni annuali erano, in media, di 1 miliardo l’anno dal 2009 ad oggi la media annuale a carico dello Stato per le catastrofi climatiche raggiunge i 3,3 miliardi. È assolutamente necessario avviare un Piano di messa in sicurezza del territorio, destinando a tale finalità risorse adeguate per intervenire nelle aree a maggiore rischiosità. La crisi climatica in atto impatta anche sulla disponibilità di risorse idriche. Negli ultimi anni, in Italia, si è registrato un significativo aumento delle zone colpite da siccità estrema, determinato da una riduzione delle precipitazioni e dall’incremento delle temperature, oltre che dall’aumento dei fenomeni atmosferici estremi (piene, siccità e ondate di calore). Per tale obiettivo, bisogna accelerare e potenziare la realizzazione del Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico, in modo da aumentare l’efficienza nell’utilizzo dell’acqua in tutti i settori (civile, industriale, energetico, agricolo), attivando sistemi di monitoraggio, investendo in manutenzione e sviluppo delle reti e degli impianti, incentivando il riciclo e la raccolta. DIRETTIVA “CASE GREEN” L’entrata in vigore della direttiva 1275 del 2024 sulla prestazione energetica nell’edilizia, che dovrà essere recepita a livello nazionale entro il 2026, impone fin da subito un riordino degli inventivi fiscali per avviare un piano di riqualificazione energetica e sismica del patrimonio immobiliare che consenta di ridurre progressivamente le emissioni di CO2 degli immobili e mettere in sicurezza un patrimonio edilizio vetusto. Voglio ricordare, infatti, che con la prossima scadenza del 31 dicembre 2024 l’intero sistema di incentivi si ridurrà al solo 36% per la riqualificazione delle singole abitazioni, senza alcun riferimento alla qualità degli edifici. Definire un piano, serio ed efficace, per la riqualificazione immobiliare è un obiettivo non più rimandabile, considerando che quasi 12,2 milioni di edifici (il 75% degli edifici residenziali esistenti) è stato costruito prima dell’emanazione delle norme antisismiche (1974) e di quelle sull’efficienza energetica (1976), nonché dei relativi decreti attuativi. Un patrimonio che ha, abbondantemente superato, in media, i 40 anni, soglia temporale oltre la quale si rendono indispensabili interventi di manutenzione. Gli edifici sono responsabili del 40% del consumo energetico e il 36% delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra legate all’energia. L’80% dell’energia consumata dalle famiglie in Europa è dovuta al riscaldamento, raffrescamento degli ambienti e all’acqua calda per uso domestico. Con il Superbonus, introdotto nel maggio 2020, è stato avviato un primo importante processo di riqualificazione energetica che ha coinvolto il 5,8% dello stock edilizio (circa 500 mila interventi). Per proseguire in questa direzione, la Direttiva delinea un programma con obiettivi molto ambiziosi, che sollecitano un sostegno pubblico, sebbene accanto a risorse private, e una politica industriale lungimirante per la filiera delle costruzioni, che deve essere messa in grado di esprimere il suo grande potenziale in termini di impatto economico, sociale, ambientale e tecnologico. Infine, il coinvolgimento del settore privato ha il vantaggio di garantire una gestione e una manutenzione a lungo termine dell’opera realizzata. I modelli di concessione, in cui il privato gestisce e mantiene l’immobile per un periodo definito, assicurano che le strutture rimangano in buone condizioni nel tempo. Per questo obiettivo, non è più rimandabile un Piano pluriennale di efficientamento energetico degli edifici, che offra una griglia di incentivi inversamente proporzionali alle possibilità economiche dei possessori di immobili con basse prestazioni energetiche. Un Piano che sia in grado di sostenere chi non ce la fa e orientare chi può, mettendo a disposizione un catalogo di strumenti capaci di garantire un numero di interventi coerente con gli ambiziosi obiettivi della Direttiva. Alcune misure possono essere a impatto sul bilancio, quali: i) un mercato per i certificati bianchi per il settore residenziale civile; ii) un Sistema Informativo sugli Attestati di Prestazione Energetica (APE); iii) modifiche ai regolamenti condominiali per facilitare interventi di risparmio energetico. Altre misure determineranno certamente un costo, costo che, però, garantirà l’obiettivo della decarbonizzazione insieme a quello della crescita economica, come avvenuto negli ultimi tre anni. CARO MATERIALI Accanto alla visione pluriennale e al finanziamento dei soprarichiamati programmi, è indispensabile che la prossima Legge di Bilancio preveda la proroga della misura relativa al caro materiali (DL Aiuti) in scadenza al 31 dicembre 2024. Tale proroga è necessaria per evitare il blocco di migliaia di cantieri ad inizio gennaio e poter realizzare, quindi, gli investimenti previsti nell’ambito del PNRR (e non solo) e garantire gli importanti effetti sulla crescita economica previsti nel PSB. Il problema del costo dei materiali continua, infatti, a rappresentare un ostacolo alla tempestiva realizzazione dei cantieri in Italia. I livelli dei prezzi rimangono elevati (circa il 30% sopra i livelli di 3/4 anni fa) nonostante il calo dell’inflazione e la fine del superbonus. Il costo della misura è stimato in circa 2 miliardi di euro (in linea con la tendenza del 2024), al lordo di eventuali residui degli stanziamenti degli anni passati.
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