Politica
L’Ance al Senato torna a chiedere correttivi al nuovo Codice dei contratti pubblici
2/2/2023
Il 31 gennaio l’ANCE è stata ascoltata in audizione informale presso la Commissione Ambiente del Senato, come già alla Camera il 26 gennaio scorso, sullo Schema di DLgs recante Codice dei contratti pubblici (Atto n.19).
Il Vicepresidente Opere Pubbliche, Luigi Schiavo, ha evidenziato in apertura che lo schema di nuovo Codice dei contratti, frutto di un intenso lavoro da parte del Consiglio di Stato, svolto peraltro in tempi molto ristretti, si caratterizza per i seguenti principali aspetti:
introduzione di una serie di principi guida per l’applicazione del Codice, di natura civilistica, europea nonché di derivazione giurisprudenziale, tra cui il principio del gennaio scororisultato;
accentuazione della discrezionalità in capo all’amministrazione, con maggiore possibilità di utilizzo di procedure flessibili e di valutazione di requisiti specifici;
spinta sulla digitalizzazione dell’intero contratto pubblico, dalla progettazione (BIM) all’esecuzione;
nuovo impulso verso la centralizzazione e qualificazione delle stazioni appaltanti con codificazione delle LG ANAC sul punto;
riduzione dei livelli della progettazione da tre a due: PFTE (progetto fattibilità tecnica economica) e PE (progetto esecutivo);
stabilizzazione di alcuni istituti e norme introdotte in fase emergenziale (tra cui la procedura negoziata senza bando, fino alla soglia comunitaria, appalto-integrato, consegna d’urgenza);
Rafforzamento della disciplina del soccorso istruttorio;
definizione dell’illecito professionale con sostanziale “codificazione” delle linee guida ANAC;
“liberalizzazione” della disciplina degli RTI, sia in fase di partecipazione che in fase di esecuzione;
maggior “autonomia” della disciplina dei settori speciali rispetto a quella dei settori ordinari;
revisione prezzi obbligatoria, sebbene ancorata a soglie di alea e a percentuali di compensazione;
Revisione della disciplina dei PPP, estesa anche a figure atipiche;
estensione di poteri di vigilanza dell’ANAC anche alla fase esecutiva;
rafforzamento delle ADR con messa a regime del Collegio Consultivo Tecnico;
presenza di numerosi allegati al Codice (circa 36), taluni con valore regolamentare.
Diverse di queste innovazioni sono senz’altro condivisibili. Il riferimento è, ad esempio, al processo di digitalizzazione delle procedure, così come all’introduzione del principio dell’equilibrio contrattuale – che andrebbe declinato anche come principio di redditività della commessa – oltre al rafforzamento degli strumenti di deflazione del contenzioso giurisdizionale.
Tuttavia, per far sì che questi principi siano effettivi e non ripetere gli errori fatti nel Codice 50, occorrono alcuni essenziali correttivi al testo, per eliminare soprattutto le contraddizioni tra i – buoni – principi espressi e talune norme pure presenti nel Codice.
Al riguardo, anzitutto, c’è un tema di mercato.
Il nuovo Codice consentirà ad un’ampia quota di appalti di non essere più sottoposti alle regole di piena pubblicità e concorrenza.
Si pensi anzitutto alla fascia di appalti compresi fino alla soglia comunitaria (vale a dire, per i lavori pubblici, fino a 5,3 mln di euro).
Il Codice sta optando per rendere stabili le procedure emergenziali introdotte con il decreto semplificazione, rendendo possibile utilizzare le procedure ordinarie solo sopra 1 mln di euro e solo se tale scelta venga accompagnata da adeguata motivazione.
Si tratta però di una soglia eccessivamente elevata che rischia di azzerare il mercato e che è in contraddizione con il principio di concorrenza e trasparenza.
Si è preferito “tagliare” sui tempi delle procedure di gara, quando invece, com’è noto, la maggior parte dei ritardi si annida nella fase “a monte” della gara, in tutto quel labirinto di atti di autorizzazioni preventive rimasto pressoché intatto.
Non va dimenticato che anche per la Commissione UE, alcune delle nuove norme italiane, come le disposizioni sulle procedure negoziate senza gara d’appalto, non sono conformi alla legislazione dell’UE in materia di appalti pubblici.
Si pensi poi anche alle scelte sui settori speciali: la sottrazione dagli obblighi di esternalizzazione delle gare per quei concessionari nei settori speciali che hanno ottenuto la concessione senza gara, non è nella legge delega, né, tantomeno, è rispettoso dei principi comunitari sul tema.
Anche la forte flessibilità concessa ai settori speciali talora si traduce in alcuni passi indietro rispetto alla normativa attuale – come le norme sulla fase di esecuzione del contratto o anche quelle sull’illecito professionale, che dovrebbero essere omogenee con i settori ordinari; ciò tanto più, ove si consideri che i settori speciali rappresentano una componente sempre più rilevante della domanda pubblica.
Il combinato disposto di queste innovazioni può essere uno shock per il mercato e per gli operatori che vi operano.
Quanto poi al principio del risultato l’opera pubblica deve essere aggiudicata a chi è in grado di assicurare il miglior rapporto qualità-prezzo.
Ma ciò non si concilia con l’avvenuta eliminazione del tetto massimo al punteggio da attribuire al prezzo in sede di offerta economicamente più vantaggiosa.
Così facendo, in aperto contrasto con la disciplina europea per giunta, si reintroduce di fatto il massimo ribasso.
Del tutto condivisibile anche l’affermazione del principio della fiducia: si tratta di una svolta nei rapporti tra Pa e imprese, rispetto al passato.
In questo senso allora appare del tutto contraddittoria la figura dell’illecito professionale la cui definizione appare piuttosto aperta e per di più ancorata ad accertamenti anche non definitivi, come un semplice rinvio a giudizio.
È evidente che così facendo non risulta affatto superato il principio di colpevolezza a carico delle imprese che permea tuttora il Codice 50.
Da rendere effettivo anche il principio dell’equilibrio contrattuale che, nel testo finora disponibile, si scontra con la norma scritta sulla revisione dei prezzi che prevede troppi limiti (alea e percentuale di riconoscimento delle variazioni) e meccanismi di funzionamento troppo complessi per essere efficace. Si perde così l’occasione di risolvere una volta per tutte un problema su cui si è dovuti intervenire finora con innumerevoli decreti d’urgenza e non si scongiura il rischio, in caso di aumento dei prezzi, di bloccare tutti i cantieri.
In contrasto con il principio di tutela e sicurezza del lavoro appare anche la norma che consente di applicare altri contratti oltre a quello dell’edilizia.
Quanto al subappalto a cascata, è un istituto che viene dalle richieste dell’Europa, ma va limitato, come sembra prevedere il testo. Una catena infinita di subappalti non è compatibile con un doveroso controllo di qualità e sicurezza.
Desta comunque preoccupazione l’assenza di certezza in relazione alle precondizioni che il Consiglio di Stato individua come determinanti per la concreta attuazione della riforma: formazione della Pa, digitalizzazione e qualificazione delle stazioni appaltanti. Di queste, due devono ancora partire e una appare troppo blanda.
Il nuovo Codice sconta, poi, un errore di metodo, che è forse all’origine della contraddizione tra principi annunciati e norme di attuazione: è stato redatto senza un adeguato confronto con chi con questo Codice deve lavorare. Impostazione che è stata alla base del fallimento del Codice 50 e che quindi non può né deve ripetersi.
Si registrano infine taluni passi “indietro”, anche rispetto alla recente normativa emergenziale adottata dal legislatore con i decreti n. 76/2022 (cd Dl “Semplificazioni“) e n. 77/2021 (cd Dl “Semplificazioni bis”).
Non hanno infatti trovato conferma in sede di riscrittura del Codice. Ad esempio, non c’è traccia del nuovo regime di responsabilità erariale prevista dall’articolo 21 del Dl 76/2020 che, com’è noto, incoraggia il fare, piuttosto che il non fare.
Anche la normativa sui pagamenti alle imprese, inspiegabilmente, non contiene più la previsione che consente all’esecutore di emettere fattura anche in assenza del rilascio del certificato di pagamento, da parte del Rup. Norma, questa, che peraltro è stata introdotta per superare una procedura d’infrazione sul punto.
Per altro verso, non vengono ancora risolte alcune criticità presenti nel previgente Codice.
Innanzitutto, nonostante l’introduzione dei principi di risultato, fiducia e buona fede, l’impostazione del nuovo codice continua a dare forte preminenza ai poteri insindacabili delle amministrazioni, talora secondo una logica “suddito-sovrano” che, invece, sarebbe opportuno superare declinando tali principi – in tutte le disposizioni di cui il Codice si compone – secondo un rapporto più equilibrato tra le parti.
Analoghe considerazioni possono essere fatte per l’istituto delle varianti. La bozza di Codice riproduce il contenuto dell’articolo 106 del Codice 50, nonostante questo abbia determinato numerosi problemi operativi e di fatto bloccato l’operatività di tale istituto, in quanto recante una disciplina contradditoria, non coordinata e tecnicamente non adeguata.
Sul tema delle opere di urbanizzazione a scomputo del contributo di costruzione, fondamentale per lo sviluppo dei centri urbani, la disciplina che consente ai privati di svolgere la funzione di stazione appaltante non è stata riprodotta in maniera chiara rispetto alle attuali norme del D.lgs. 50/2016, con il rischio di portare ad interpretazioni errate e tali da attribuire sempre al Comune il potere di indire la gara. È fondamentale pertanto apportare dei correttivi per esplicitare maggiormente che la possibilità prevista per l’amministrazione di indire la gara è “alternativa” all’ipotesi in cui il soggetto privato assume la funzione di stazione appaltante.
Il Vicepresidente ha, quindi, illustrato nel dettaglio le valutazioni e proposte ANCE sulle singole misure del testo.
Per il dettaglio della posizione ANCE si veda il documento allegato lasciato agli atti della Commissione (comprensivo di due tabelle relative: al raffronto tra principi della legge delega e norme del nuovo Codice; ai profili di contrasto tra il nuovo Codice e le direttive UE).
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