Politica
Codice appalti, Confindustria: no all’innalzamento stabile delle soglie per l’affidamento diretto a 140.000 €
1/2/2023
Il Direttore Generale di Confindustria, Francesca Mariotti, è intervenuta in audizione presso la Commissione Ambiente della Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame dello schema di decreto legislativo recante Codice dei contratti pubblici.
La strategia di policy contenuta nello schema di Codice dei contratti pubblici (di seguito CCP) deve essere basata su azioni efficaci, tempi certi di attuazione ed interventi incisivi per dare impulso agli investimenti, compresi quelli del PNRR.
Trovandosi all’interno del quadro delle riforme richieste dal Next Generation UE, l’attuale riforma del Codice deve creare le condizioni per una maggiore capacità di spesa delle risorse pubbliche, ma anche una capacità di investimento tale da traguardare la transizione tecnologica, digitale e sostenibile del Paese.
In premessa, esprimiamo apprezzamento per una scelta di fondo: far precedere l’articolazione degli istituti da un quadro di principi e restituire al Codice la funzione di strumento per acquisire, sul mercato, beni e prestazioni, superando “eterogenesi” dettate da finalità come il contrasto all’illegalità o ai fenomeni corruttivi, in sé pienamente condivisibili, ma che non possono trovare soluzione nelle norme sugli appalti.
Nel merito, riteniamo anzitutto opportuno evidenziare che gli appalti di servizi e forniture assumono, in questo contesto, un rilievo estremamente significativo nell’economia nazionale, sia in ragione del loro valore economico, sia in considerazione del rilievo strategico per il funzionamento dell’amministrazione pubblica e della sua attività di prestazione anche a favore delle imprese.
Considerando che la riforma è finalizzata a restituire alle disposizioni codicistiche semplicità e chiarezza di linguaggio, riteniamo necessario intervenire in questa sede perché i contratti pubblici riferiti ai servizi e alle forniture abbiano una propria specificità e un proprio riferimento nell’ordinamento e nei criteri di semplificazione. In questa direzione, sarebbe utile iniziare almeno un lavoro di separazione applicativa tra settori totalmente diversi tra loro i cui riflessi normativi possono essere molto diversi e addirittura creare in alcuni casi dei veri e propri “problemi applicativi”.
Per questo, una legislazione ad hoc per gli appalti di servizi, da integrare nel Codice, appare disattesa ma rimane un’istanza altamente auspicabile e necessaria.
Il testo appare strutturato in modo chiaro e leggibile. È evidente che l'obiettivo sia stato di adeguare la disciplina dei contratti pubblici a quella del diritto europeo, ai principi espressi nel corso degli anni dalla giurisprudenza e soprattutto di ridare l'organicità e la sistematicità perdute a seguito delle continue modifiche introdotte.
Ė positivo che il nuovo Codice contenga molte norme “autoesecutive”, senza rinvii ad altri testi di legge.
Al contempo, sarebbe limitativo valutare l’efficacia del Codice solo sulla base della capacità dello stesso di accelerare le procedure per sbloccare gli investimenti pubblici: per rilanciare l’economia del nostro sistema-Paese, l’attenzione non può essere focalizzata esclusivamente sul “quanto compro”, ma anche e soprattutto sul “cosa compro”.
Il nuovo Codice dovrebbe mettere a punto un quadro di riferimento grazie al quale tutti gli attori economici siano messi nelle condizioni di sostenere la imprescindibile transizione digitale, tecnologica e sostenibile: sono questi i pilastri da cui dovrà necessariamente partire qualsiasi ragionamento e che dovranno guidare ed ispirare i principi e la disciplina del nuovo Codice dei contratti. La transizione tecnologica e sostenibile impone acquisti ed investimenti oculati e lungimiranti e tarati sui fabbisogni di innovazione della PA.
Entrando nel merito del provvedimento, sono quattro i principali profili di attenzione in merito al percorso di revisione e attuazione della riforma degli appalti pubblici:
- è necessario che le stazioni appaltanti e gli operatori economici possano disporre di un sistema di norme completo e di immediata attuazione;
- è auspicabile che si preveda un periodo congruo di stabilità del quadro normativo degli appalti;
- sarebbe quanto mai opportuna la possibilità di spostare in avanti l’entrata in vigore del Codice, prevista per il 31.03.2023. Occorre evitare uno shock regolatorio, un’eccessiva discontinuità rispetto al PNRR, nel momento peraltro di sua massima attuazione, che rischierebbe di rallentare, se non bloccare l’esecuzione delle opere. Una vacatio legis di 12 mesi, negoziata con le Istituzioni europee, consentirebbe a tutti gli operatori di acquisire dimestichezza e conoscenza delle novità e rappresenterebbe una misura di buon senso nell’ottica della sollecita attuazione del PNRR;
- disegnare e soprattutto attuare un vero modello di Governance del Codice Appalti che sia in grado di effettuare una costante ricognizione sullo stato di attuazione delle norme e sulle eventuali difficoltà che potranno riscontrare le stazioni appaltanti nella fase di applicazione, è essenziale anche per proporre soluzioni correttive e di miglioramento.
Di seguito si riportano le osservazioni puntuali all’articolato su alcuni temi ritenuti prioritari:
Profili positivi
DIGITALIZZAZIONE
La spinta alla digitalizzazione appare l'elemento centrale del nuovo Codice e strumento indispensabile per arrivare a un'effettiva semplificazione delle procedure.
Confindustria ha sempre sostenuto che per spendere di più e spendere meglio fosse necessario disporre di organizzazioni pubbliche strutturate con personale competente - da attuare attraverso la Qualificazione delle Stazioni appaltanti - e digitalizzare l’intero processo degli appalti e della gestione contrattuale con tecnologie e sistemi efficienti in grado di gestire dati interoperabili e facilmente accessibili.
Evidenziamo però che diverse stazioni appaltanti segnalano quanto l’innovazione risulti al momento un esercizio a metà, in assenza di interoperabilità e di disciplina antimafia.
QUALIFICAZIONE DELLE STAZIONI APPALTANTI E DELLE CENTRALI DI COMMITTENZA (ART. 63)
È in questo ambito che si gioca una delle riforme più attese e tante volte richiamate da Confindustria. Lo scopo del provvedimento, previsto peraltro dall’attuale D. Lgs. 50/2016 e mai attuato, è di arginare l’eccessiva frammentazione, nonché i deficit organizzativi e di professionalità che caratterizzano il panorama delle stazioni appaltanti.
Non si tratta quindi di ridurre il numero di stazioni appaltanti per penalizzare le Amministrazioni che non saranno in grado di qualificarsi, ma di concentrare le attività in un numero adeguato di organizzazioni che siano in grado di disporre di personale preparato, di processi e procedure efficienti, di competenze tecniche e non solo amministrative e di tecnologie digitali a supporto dell’intero ciclo di vita degli appalti.
Il timone, però, è che si rischi un progressivo “annacquamento” dell’obiettivo di qualificare le stazioni appaltanti.
Profili di criticità
PROCEDURE PER L’AFFIDAMENTO (art. 50)
L’innalzamento stabile delle soglie per l’affidamento diretto a 140.000 € per servizi e forniture è una modifica su cui esprimiamo un giudizio negativo, in quanto tali soglie vanno, in sostanza, a danneggiare soprattutto le piccole e medie imprese che possono partecipare più agevolmente proprio alle gare piccole.
Il principio dell’efficienza e del risultato lo si persegue riducendo il contenzioso, facilitando l’avvicendamento degli affidatari nelle varie fasi, approntando percorsi di validità di procedure con un solo concorrente, non abolendo in partenza la concorrenza.
Per i servizi e le forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria ed architettura, si ritiene opportuno ridurre la soglia dei 140.000 euro portandola a 80.000 euro, a maggiore tutela della trasparenza degli affidamenti.
REVISIONE PREZZI (art. 60)
L’introduzione delle clausole di revisione dei prezzi deve mirare a rendere effettivo il principio dell’equilibrio contrattuale.
Sul punto, lo schema di decreto compie un notevole passo in avanti, superando – da un lato – l’incertezza circa l’inserimento di clausole revisionali all’interno dei contratti attraverso la previsione di un obbligo generalizzato di revisione prezzi in tutti i settori (lavori, forniture e servizi) e – dall’altro – introducendo tra i principi generali che precedono il codice quello della “conservazione dell’equilibrio contrattuale”.
Il primo aspetto critico è l’individuazione di una soglia di rilevanza del (5%) che si ritiene eccessivamente alta per tutti i tipi di contratti pubblici, cioè lavori, servizi e forniture.
Ciò premesso, in concreto, pur accettando il principio di un’alea normale di rischio, riteniamo necessario che vengano individuate soglie idonee per accedere alla revisione dei prezzi tenendo conto delle specifiche esigenze di tutti i settori, soprattutto di quei contratti di lunga durata e indicizzati a valori dell’ISTAT o dell’ANAC, che variano ma in maniera non così significativa.
Si osserva, infatti, che, nella modalità ordinaria alla quale eravamo abituati, gli indici ISTAT - come, ad esempio, il FOI - si modificano ma con percentuali del 1%, del 2% e, solo in casi straordinari, come quelli verificatisi a cavallo tra 2021 e 2022, gli indici fanno registrare aumenti più significativi.
L’altro aspetto che desta preoccupazione riguarda il riferimento agli “indici sintetici (..) approvati dall’ISTAT con proprio provvedimento entro il 30 settembre di ciascun anno”, che dovranno essere utilizzati per la rilevazione delle variazioni di prezzo. Ciò che si teme, tra l’altro, è quanto evidenziato nella relazione illustrativa, ossia che l’ISTAT – sebbene garantisca adeguata terzietà ed imparzialità, oltre che autorevolezza, nelle rilevazioni – non sia attualmente in possesso dei dati necessari a garantire una mappatura efficace in tutti i settori, ivi compresi quelli di servizi e forniture. Per questi ultimi, il rischio concreto è di una disapplicazione, nei fatti, della nuova disciplina.
CAUSE DI ESCLUSIONE (artt. 94- 95)
Lo schema disciplina le ipotesi di esclusione dell’operatore economico in presenza, tra le altre, di violazioni fiscali definitamente accertate e non definitive. Al riguardo, osserviamo che le disposizioni contenute negli articoli 94 e 95 dello schema del decreto, nonché nel relativo allegato II.10, riproducano, sostanzialmente, l’impianto del previgente Codice degli appalti (combinato disposto dell’art. 80, comma 4 DLGS n. 50/2016 e del DM 28 settembre 2022 relativo alle violazioni fiscali non definitive).
Tale scelta, se da un lato consentirà alle imprese una più facile transizione al “nuovo” Codice degli appalti – anche considerati gli stringenti tempi di entrata in vigore della disciplina -, dall’altro rappresenta, però, un’occasione perduta per superare le criticità preesistenti ed allineare la disciplina italiana in materia di appalti alle disposizioni contenute nelle direttive europee (Direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE).
In primo luogo, infatti, si conferma il riferimento alla soglia di gravità per le violazioni definitivamente accertate di 5 mila euro (ex art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, del DPR n. 602/1973), un importo significativamente basso che pone forti dubbi sul rispetto del principio di proporzionalità.
Si poteva seguire la soluzione adottata con riguardo alle violazioni non definitive, dove il legislatore ha più correttamente individuato tale soglia di gravità come percentuale del valore dell’appalto (10%) al fine di valorizzare la ratio della norma di tutelare i soggetti che presentano profili di affidabilità e di solvibilità finanziaria adeguati alla corretta esecuzione dei lavori.
Diversamente, con riferimento alla citata disciplina delle violazioni non definitive (art. 95, comma 2) sarebbe opportuno modificare la locuzione “la stazione appaltante esclude”, che non risulta conferente con la disciplina delle cause di esclusione “facoltativa”: spetta, infatti, alla valutazione discrezionale della stazione appaltante, secondo un giudizio di proporzionalità, anche in presenza di superamento della predetta soglia, la decisione sulla esclusione dalle gare di appalto dell’operatore economico.
Per tali ragioni, proponiamo di prevedere - sia per le violazioni definitive, che per quelle non definitive - l’esonero dalla disciplina di esclusione nell’ipotesi in cui l’operatore fornisca la prova che le misure da lui adottate siano sufficienti a dimostrare la sua affidabilità ai sensi dell’art. 96, comma 6 (c.d. clausola self-cleaning).
Rimanendo in tema di clausole di esclusione non automatiche, lo schema di decreto contempla anche l’ipotesi in cui l’operatore economico abbia commesso un illecito professionale grave, dimostrato dalla stazione appaltante con mezzi adeguati. Al riguardo, si prevede che, ai fini della rilevanza dell’illecito professionale, possa essere sufficiente anche la sua mera contestazione e, tra le fattispecie considerate, figurano anche tutti i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti, ex D. lgs. n. 231/2001.
Al riguardo e aldilà del rinvio ampio e generico a tutti i reati 231, si segnala anzitutto che la Direttiva UE prevede, ai fini dell’esclusione, che l’operatore economico si sia reso colpevole di un illecito professionale. Pertanto, contemplare la possibile esclusione anche in presenza della mera contestazione del reato, configura un’estensione della disciplina rispetto al perimetro tracciato dall’atto europeo, oltre a sollevare qualche dubbio in ordine al rispetto del principio generale di non colpevolezza.
In ogni caso, anche a voler considerare un’anticipazione della soglia di rilevanza al momento della contestazione dell’illecito, appare quantomeno necessario intervenire sui mezzi di prova indicati nello schema come rilevanti e adeguati e dai quali la stazione appaltante può far discendere il giudizio di gravità. In particolare, appare opportuno escludere dal relativo elenco, gli atti che siano espressione della determinazione unilaterale del pubblico ministero, ovvero quelli attraverso i quali il PM esercita l’azione penale. Appare, infatti, fondamentale che, in considerazione della potenziale esclusione dell’operatore dalla gara e nel rispetto dei generali principi di proporzionalità e ragionevolezza, un effetto così penalizzante consegua a un atto assunto da un giudice terzo.
CRITERI DI AGGIUDICAZIONE DEGLI APPALTI (art. 108)
Merita uno specifico approfondimento l’articolo 108 che introduce alcune modifiche rilevanti che possono aprire, nell’ottica del risparmio della spesa pubblica - come previsto nei principi cardini di questo nuovo Codice - una continua corsa al ribasso come elemento strutturale degli acquisti: il venire meno del tetto massimo per l’attribuzione del punteggio economico entro il limite fissato del 30% rischia di aprire ad aggiudicazioni basate esclusivamente sulla componente del prezzo perché il dinamismo e la discrezionalità che la relazione tecnica all’articolo evidenzia, risulta applicabile in linea astratta ma nel concreto si andrà verso una notevole riduzione dell’elemento qualitativo.
Pertanto, ravvisiamo che sia più opportuno mantenere un bilanciamento fisso tra qualità/prezzo, passando dal 70%-30% all’80%-20% a garanzia della valorizzazione degli elementi qualitativi dell’offerta.
OFFERTE ANOMALE (art. 110)
Sarebbe auspicabile prevedere che i maggiori costi della sostenibilità ambientale siano inderogabili in sede di offerta, alla stregua dei minimi salariali e dei costi per la sicurezza dei lavoratori.
Ulteriori proposte
SUPPORTI DI PROJECT MANAGEMENT PER OPERE OLTRE 20 MILIONI
Si ritiene opportuno promuovere l’utilizzo da parte dei RUP di incarichi di supporto aventi ad oggetto attività come quelle riconducibili alla nozione di project management, essenziali per il ferreo controllo di tempi e costi e per assicurare la massima efficacia della spesa pubblica.
CESSIONE DEI CREDITI VANTATI VERSO LA PA
La nuova riforma del Codice Appalti, anche in ottica di PNRR, non dovrebbe perdere l’occasione di rivedere le disposizioni sulla cessione dei crediti vantati verso la Pubblica Amministrazione con una logica di semplificazione per facilitare l’accesso al credito per le imprese.
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